Non è un parere. Non è una moda. Che la rabbia trans esploda

Riceviamo e diffondiamo con rabbia e con amore:

Le persone trans esistono. Stacce
Noi esistiamo. Conduciamo vite “normali”, queer, frocie, lesbiche, nella norma, fuori norma: siamo attorno a voi, e non sempre ve ne accorgete. Qualcun di noi è pure sbirro- e l’odiamo uguale: non perché trans ma perché sbirro.
I nostri corpi non sono un fenomeno da baraccone da compatire o da difendere.
I nostri corpi sono diversi tra loro: binari e non binari, medicalizzati e non, corrispondenti o meno ai nostri desideri e alle vostre aspettative.

L’identità di genere esiste. Stacce
Noi siamo sempre esistit.
Prima delle diagnosi, prima delle ideologie, prima di Vanity Fair e di D di Repubblica.
La nostra lotta si affianca a quella delle donne cis, perché riconosciamo che l’origine delle nostre oppressioni è la stessa: il cis etero patriarcato. (terf rileggetevi Monique Wittig)
L’identità di genere è la realtà delle nostre esperienze – non una categoria astratta.
Le nostre identità sono più dei percorsi patologicizzanti, più della vostra validazione. Le nostre identità non sono il profitto delle case farmaceutiche: vogliamo ormoni gratuiti e piena autodeterminazione per ognun.

Chi ci pensa ai bambini? Noi. Stacce
Noi siamo stat bambin trans. Senza essere nominat, senza punti di riferimento, senza fiabe, senza rappresentazioni.
E l’educazione sessuale e affettiva l’abbiamo ricevuta: era quella cis etero normata, che c’ha fatto sentire sbagliat, in colpa, isolat.
E voi, ancora, siete complici di questa retorica che bullizza, punisce, corregge.
Voi avete paura, voi volete mantenere lo status quo.
Noi, invece, vogliamo che bambin e adolescent trans si sentano liber e sicur di esplorare la loro identità oltre i confini del binarismo di genere, di attraversare gli spazi, di essere felici.

@guerrilla_transpoetica

Roma, sede editoriale La Repubblica

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SOLIDARIETÀ A CHI LOTTA IN PALESTINA

Di nuovo le forze di occupazione israeliane stanno espropriando case ai palestinesi (in questo caso a Gerusalemme est nel quartiere di Sheikh Jarrah) e di nuovo le forze di occupazione israeliane stanno bombardando Gaza. In questo modo continua il progetto imperialista di conquista della Palestina, ma si vuole anche fortificare il Primo Ministro Israeliano Netanyahu (senza una maggioranza dalle ultime elezioni).

Gli scontri tra palestinesi e forze di occupazione israeliane si stanno diffondendo a tutte le città e territori palestinesi e dobbiamo esprimere la nostra solidarietà.

A questo link un aggiornamento di un compagno dal campo di Aida: https://www.alanews.it/cronaca/palestina-testimonianza-da-aida-siamo-sulla-strada-della-terza-intifada/?fbclid=IwAR2ZblqBWCnuW9_NPkyU-XFnyV5g4NurWpMp7nLq-zlDy9i13Q6jPql0ovU

IL PINKWASHING NON CANCELLA L’OPPRESSIONE
SOLIDARIETÀ A CHI LOTTA IN PALESTINA

Rilanciamo l’appuntamento di sabato 15 maggio a Piazza dell’Esquilino dalle 16 alle 19.00.
Non restiamo indifferenti, rompiamo il silenzio.

E invitiamo le realtà presenti alla mobilitazione Moltopiudizan a portare bandiere, cartelli e striscioni in solidarietà con chi lotta in Palestina.

Save Palestina!

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Nessuna sarà libera finché non lo saremo tuttə

L’otto marzo è una data di lotta femminista e transfemminista, di scesa in piazza, di rivendicazioni. Ogni anno abbiamo scioperato scegliendo di scendere per strada a manifestare la nostra rabbia verso il sistema eterocispatriarcale, capitalista e razzista, puntando il dito contro le violenze strutturali della società in cui viviamo.

L’anno scorso questa data ha però significato anche l’inizio delle restrizioni e della repressione istituzionale come principale, se non unica, risposta alla pandemia che stiamo ancora oggi vivendo. Questo è infatti il secondo otto marzo sotto COVID, e l’anno passato in pandemia se da un lato ha reso ancora più evidenti e marcate le disuguaglianze strutturali alla base della nostra società spingendo ancora più ai margini le soggettività già oppresse, dall’altro ha legittimato un approccio repressivo alle nostre vite mascherandolo dietro la necessità di contenimento nei confronti della pandemia.

La retorica del restate a casa non ha tenuto conto di quanto le mura domestiche non siano un rifugio per molte persone. Non lo sono per le donne che vivono una relazione violenta, costrette negli scorsi mesi a condividere ogni minuto della propria giornata con gli aggressori. Non lo sono per chi non può permettersi un affitto, specialmente nelle grandi città, ed è costrett a vivere con molte altre persone. Non lo sono per le soggettività LGBTQI+ che spesso vivono lo stigma e la violenza omolesbobitransfobica maggiore proprio dentro casa, da parte delle proprie famiglie. Non lo sono per chi una casa non ce l’ha ed è stat completamente abbandonat a sé.

Ovunque, dalle scuole alle strade, è stata criminalizzata la socialità e l’unica vicinanza possibile è stata quella online, mentre il distanziamento sociale è diventato il mantra degli scorsi mesi. Gli unici luoghi che hanno fatto eccezione sono quelli della produzione capitalistica – in cui la salute de’ tant’ lavoratrici e lavoratori è stata posta in secondo piano rispetto al profitto di pochi – e quelli in cui sono rinchiuse tutte le soggettività scomode, che lo stato e i media non hanno alcun interesse a mostrare.

Carceri, CPR, navi quarantena per migranti sono progettate per restare lontane dallo sguardo pubblico, ma a marzo del 2020 le rivolte di detenute e detenuti hanno fatto breccia in questo muro di silenzio rendendo impossibile non vedere le colonne di fumo degli incendi appiccati per protesta.

Con l’inizio delle restrizioni per il contenimento del contagio nelle carceri sono state sospese visite di familiari, avvocat e volontar, corsi e qualsiasi tipo di attività, lasciando che i secondini fossero le uniche persone esterne con il diritto di entrare. Mentre fuori si incentivava l’uso di dispositivi di protezione come mascherine e disinfettanti, dentro niente di tutto questo veniva distribuito, ma anzi si vietava anche l’ora d’aria obbligando le persone a rimanere in spazi chiusi e sovraffollati ventiquattro ore al giorno.

Di fronte alla richiesta di misure alternative al carcere, di indulto e procedure di prevenzione del contagio, lo stato ha risposto con violenza, pestaggi, trasferimenti, provocando almeno 14 morti tra chi protestava.

Nei mesi a seguire le continue proteste e la solidarietà di familiari e complici all’esterno delle mura hanno dato voce a quello che stava succedendo, obbligando l’amministrazione penitenziaria a concedere degli strumenti per rimanere in contatto con il mondo di fuori come le videochiamate. Non ci stancheremo mai di dire che non c’è possibilità di riformare e rendere più umano il carcere, se non scegliendo di chiuderlo definitivamente. Sono di questi giorni le dichiarazioni della guardasigilli Cartabia che rivendica di aver ottenuto una maggiore tranquillità nelle carceri grazie all’incremento delle videochiamate, mentre sappiamo bene che le proteste continuano e che la presunta tranquillità di cui parla è il risultato delle pratiche repressive, dei trasferimenti, delle pesanti denunce che cominciano ad arrivare per chi ha partecipato alle proteste di un anno fa.

Oggi le rivendicazioni si sono ampliate dato l’aumento dei contagi all’interno delle carceri e le nuove problematicità causate dalla pandemia che non hanno fatto altro che rendere ancora più inaccettabile la condizione carceraria.

Di seguito condividiamo alcuni comunicati diffusi da detenu:

http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=98049:roma-disordini-a-rebibbia-indagate-venti-detenute&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1

Resoconto sulle battiture alla sezione femminile del carcere di Trieste – 15 febbraio 2021

Proposta di battitura nazionale dentro le carceri da parte delle detenute per il 1 febbraio

 

Invitiamo tutt agli appuntamenti di oggi Lotto Marzo:

– ore 10.30 flashmod di Non Una di Meno davanti al ministero dell’Economia e Finanze (via Venti Settembre 97);

– ore 11.00 presidio contro la strage di stato davanti il Ministero della Giustizia (via Arenula) in solidarietà con i/le detenut*;

– ore 17 presidio di Non Una di Meno, Roma è zona fucsia! Appuntamento a piazza Esquilino.

 

Affinché quest’otto marzo risuoni un unico grido dalle carceri alle piazze: NESSUNA SARÀ LIBERA FINCHÉ NON LO SAREMO TUTTə

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17 dicembre – giornata contro la violenza sulle/sui sex workers

SOSTENIAMO LE LOTTE DELLE/DEI LAVORATRICI/ORI DEL SESSO PERCHE’…

…subiscono uno stigma che si nutre di sessismo, omo-, lesbo- e transfobia.

…la violenza sulle lavoratrici del sesso è violenza patriarcale.

…ve la prendete più con le puttane che con gli stupratori.

…lo stigma della puttana, o la minaccia di essere così identificate, serve a tenerci buone e decorose.

…non hanno tutele lavorative e la recente crisi pandemica ha esasperato tale precarietà lasciandole/li senza nessuna forma di reddito.

…con le politiche securitarie e perbeniste, che le/li allontanano dalla pubblica vista, vengono solo esposte/i a maggiore isolamento e violenze.

…il lavoro sessuale, anche se non retribuito, è parte del contratto matrimoniale.

…qualsiasi lavoro nel sistema capitalista è sfruttamento: perché applicare un giudizio morale solo sul lavoro sessuale?

…ognun può decidere del e per il proprio corpo.

…il lavoro sessuale è lavoro.

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Buon complecagna – 14 dicembre 2020

SCOPRICULO CONTRO IL COPRIFUOCO

Siete sempre nei nostri culi e non vi accagnamo mai.
Tanti culi cagne dell’universo per questi 7 anni di occupazione!!
Anche oggi caghiamo sul patriarcato ❤️

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Contro femminicidio e transfobia. Con Maria Paola nel cuore. Ciro non sei solo

L’ennesima notizia di femminicidio: Maria Paola è stata vigliaccamente uccisa da un uomo che credeva di avere il diritto di decidere per lei. Perché una donna in questa società esiste soltanto sotto la proprietà di qualcuno. Il fratello, in questo caso, che non accettava che lei amasse chi voleva.

Ad una donna viene ancora una volta negata l’autodeterminazione e viene uccisa per non aver fatto quello che ci si aspettava da lei: rispondere alle esigenze della famiglia e della società. Una società incapace di nominare le cause della morte di maria paola, il patriarcato e la transfobia.

In questo caso, infatti, i giornalisti si sono scontrati con la difficoltà di nominare un altro elemento centrale di questa triste storia: Maria Paola aveva scelto di avere una relazione con una persona trans, Ciro, e di fronte a questo stiamo assistendo all’invisibilizzazione anche della sua scelta.
Per questo gridiamo con forza che quello di oggi è un femminicidio transfobico.

È stato il fratello di Maria Paola ad uccidere ma sono giornalisti e opinionisti che continuano a perpetrare la violenza, quando parlano di ciò che non conoscono, quando se ne ricordano solo perché siamo vittime e raccontano le nostre vite solo come un’anomalia infettiva o strade lastricate di lacrime e dolore.

L’unico modo che troviamo per affrontare tutta la rabbia, lo schifo e la tristezza che proviamo oggi è stringerci alle comunità resistenti, che riempiono le nostre vite, in cui ci amiamo, ci diamo forza e sostegno.

Ed è con loro che camminiamo a testa alta ogni giorno, è che con loro che affrontiamo e rispondiamo alla violenza di questo sistema di merda! È con loro che oggi gridiamo forte che non abbiamo paura! Ci vediamo per strada!

Vi veniamo a cercare
#cerodeerculo

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16 luglio_Molto più che Zan!

Oggi pomeriggio eravamo in piazza SS Apostoli per dire che la legge Zan non ci basta e che non ci rassegneremo mai a considerare il carcere come un’alternativa per sentirci sicur* ed eliminare la violenza che opprime le nostre soggettività!!!

Nessun* sarà liber* finchè non saremo tutt* liber*!

Di seguito testo e audio del nostro intervento:

Se stasera sono qui è perché mi voglio bene.

È perché avete bisogno di noi anche se non lo sapete.

Questa legge non ci basta, come non ci basta nessuna legge; noi lo sappiamo, noi lo viviamo ogni giorno. È la nostra vita.

Per strada siamo noi a proteggerci quando ci aggrediscono, non le guardie né lo stato, e le reti di solidarietà sono la nostra strategia di resistenza. Quando ci riprendiamo gli spazi attraverso i nostri corpi è la polizia a buttarci fuori, a sgomberarci.

Come osate riempirvi la bocca di protezione verso gli stessi corpi che ripudiate? Noi non apparteniamo ad una griglia. Non ci interessa essere rappresentabili o accettabili, né rientrare nella norma o nel decoro.

Questa legge non ci basta perché non vogliamo essere descritte nell’ordinamento patriarcale, non esistiamo solo quando siamo morte, quando siamo massacrate e molestate.

Quando ci rode il culo noi ci abbracciamo strette e così fuori non siamo solo vittime.
Non necessitiamo del paternalismo statale, né di quello di nessuno. Conosciamo bene gli eufemismi che usate quando parlate di noi.

Non vogliamo alleati ma complici.

Che volete fa? Qual è la ratio? Buttare in carcere la gente per sentirvi più sicuri? Per lavarvi le mani di un problema che è insieme strutturale e culturale? Stiamo parlando e adesso ascoltate.

Noi sappiamo che è la cultura patriarcale a perpetuare il sistema eteronormato. Sappiamo che significa non essere ascoltati. Sappiamo che significa quando parlate di noi come spunte da aggiungere alla lista delle modernità, come passi avanti verso una retorica inclusiva, mentre siamo in realtà escluse da ogni vostro ridicolo tavolo.

La violenza a cui si riferisce questa legge nasce in famiglia e cresce a scuola, in che modo il carcere sarebbe una soluzione a tutto ciò? Pensiamo che la fine dell’omolesbotransintersexbifobia e del razzismo siano possibili attraverso comunità forti e autorganizzate, la presa di responsabilità collettiva, dalla famiglia alla scuola al parco giochi, crescere bambinu liber* da stereotipi e dalle oppressioni materiali e culturali è molto più efficace che punirli da grandi perchè interpretano quello che hanno imparato.

Questa legge non ci basta perché il carcere è figlio dello stesso sistema che combattiamo. Non è inasprendo le pene che la violenza su di noi sparirà. Non rivendichiamo la penitenza dello stato in quanto strumento intriso di una retorica rieducativa. Il carcere genera violenza. Di carcere si muore.

Diceva A. Davis: “questa è la funzione ideologica della prigione: ci libera dalla responsabilità di farci carico dei problemi per cui le persone vengono incarcerate. Nasconde i problemi della società prodotti dalla povertà, dal razzismo, dalla violenza di genere, dallo sfruttamento.”

Da mesi negli Stati Uniti le comunità lesbiche trans gay non binary intersex e queer, insieme a tutto il movimento Black Lives Matter stanno lottando non solo per la fine degli abusi di polizia ma in modo ancora più radicale per il definanziamento delle forze di polizia, la fine della detenzione di massa e in generale per la fine del sistema carcerario, strutturalmente classista, razzista e sessista. Dalle carceri americane arrivano notizie delle lotte delle donne nere cis e trans, così come anche in Italia durante la quarantena il coraggio delle persone detenute ha evidenziato la contraddizione che è l’esistenza stessa del carcere.

La violenza personale che subiamo perché siamo soggettività non normali non può finire senza il superamento delle violenze sistemiche.

I fasci, i preti, la chiesa y el estado opresor ci fanno cagare. così come il carcere li vogliamo in macerie.

Abbiamo una soluzione:

l’autodifesa si fa così:

lo aspetti sotto casa e poi lo lasci lì!!!

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Repressione ai tempi del coronavirus – Solidarietà a Eddi

Ci ritroviamo chius* in casa, preoccupat* per i nostri cari, per le donne per cui la casa è luogo di violenze, per le persone che non hanno una casa in cui #restare, per quelle che condividono una stanza in troppe perchè gli affitti sono proibitivi o che sono rinchius* in una delle troppe celle sovraffollate dei troppi carceri in giro per l’Italia, per chi ha perso pure quello straccio di lavoro in nero che aveva e per chi invece è costrett* a lavorare in condizioni non sicure perchè la produzione e il profitto non possono fermarsi mai.

Mentre pensavamo che la nostra unica preoccupazione fosse appunto quella di preoccuparci, veniamo a saper della condanna a due anni di sorveglianza speciale per una delle nostre sorelle, Eddi.

Ci sembra di leggere male, forse non abbiamo capito, rileggiamo e invece è proprio così…il Tribunale di Torino l’ha giudicata un soggetto socialmente pericoloso, perchè è andata in Siria a sostenere la rivoluzione curda e combattere contro il fondamentalismo di Daesh e per fare questo ha imparato ad usare delle armi.

Siamo forse in un universo parallelo?

E’ pericolos* chi combatte contro una forza di occupazione, che semina violenza e morte o è più pericoloso uno stato, come quello italiano, che rifornisce di armi lo stato turco che appoggia quell’invasione?

E’ pericolosa una combattente che imbraccia un’arma per difendere la rivoluzione e la liberazione di un popolo oppure è più pericoloso o un carabiniere che spara ad un ragazzino per un rolex?

E’ più pericolosa una compagna che costruisce ogni giorno quel movimento femminista che denuncia la violenza contro le donne a livello internazionale oppure un tribunale, come quello di Torino, che assolve gli stupratori perchè la donna che hanno aggredito non ha detto abbastanza forte di no o era vestita in modo provocante?

Noi sappiamo bene da che parte stare, di cosa aver paura e chi considerare pericoloso.

Sappiamo bene che per sconfiggere una società che ogni giorno sfrutta, emargina, ferisce e uccide troppe nostre sorelle a volte è necessario essere pericolose e questa è la strada che abbiamo scelto di percorrere, accanto a Eddi e tutt* quell* che come lei combattono per la libertà e l’autodeterminazione di tutt*.

Eddi libera

Al seguente link l’intervento di Eddi

 

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L’8 MARZO: NEBULOSE E TREMULE

Al crepuscolo di questo otto marzo particolare, virulento, in cui non possiamo scendere in piazza e non possiamo scioperare, in cui sembra che l’unica cosa che possiamo fare sia preoccuparci per noi e per i nostri affetti, non vogliamo lasciare nessun_ sol_. Quello che ci sentiamo di fare, nebulose e tremule come questa luna piena, è esprimere solidarietà a chi lotta nelle carceri, a chi scappa dalla guerra, a chi cerca di sopravvivere alle frontiere tra gli stati, a chi la violenza la subisce in casa, a chi si ritrova disoccupata, e a chi non troverà posto in terapia intensiva.

Tra le strade di Roma spuntano segnali di rischio e alfabeti della lotta: vogliamo lanciare un allarme sui luoghi che più odiamo, le nostre zone rosse quotidiane, e accompagnare l_ compagn_ in cammino. Trovateli e continuiamo l’alfabeto insieme!

Daje forte, buon LOTTO marzo

 

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Lucha non si spegne

Piccola integrazione al post: lavando i piatti alla fontanella ci siamo rese conto di non avere acqua, nè luce..


 

In questi giorni i solerti omini Acea stanno provando a staccare le utenze a Lucha y Siesta, lasciando senza luce e acqua tutte le persone che abitano – e necessitano di- quello spazio.

Da diversi anni Acea e il Comune di Roma, in combutta con le guardie e la complicità delle istituzioni, portano avanti un attacco agli spazi femministi liberati, spazi dove le donne possono autogestirsi e autodeterminarsi e che tra le mille altre cose offrono alla comunità proprio quei servizi di cui le istituzioni si riempiono la bocca.

Se in altri casi il ripristino della “legalità” è passato per lo sgombero diretto degli spazi, buttando molte persone in mezzo ad una strada, in questo le istituzioni hanno deciso un approccio più subdolo ma altrettanto efficace.

Sappiamo bene cosa vuol dire perché nel 2015 lo spazio delle Cagne Sciolte e lo sportello antiviolenza ‘Una stanza tutta per sé’ che vi era ospitato subirono lo stesso attacco che purtroppo andò a buon fine lasciando lo spazio senza acqua né luce.

*Il comunicato di allora al seguente link

Se ci togliete la luce ci prendiamo il sole, se ci togliete l’acqua ci prenderemo le maree

Tagliando le utenze si rende ovviamente impossibile svolgere le quotidiane attività di uno spazio, lo si porta all’immobilismo e ad una faticosa sopravvivenza. Nel caso di uno spazio abitativo risulta poi pressoché impossibile immaginare una quotidianità senza acqua né luce.

Scegliendo questa linea di attacco il Comune di Roma punta a creare meno clamore rispetto ad un brutale sgombero e cerca il sostegno degli abitanti del quartiere e della città che mensilmente patiscono le bollette. Difendere Atac e i suoi debiti è difficile, rivendicare l’esistenza di spazi vuoti ed abbandonati a sé stessi non ha senso e quindi si vogliono tagliare le potenziali reti di solidarietà sfruttando un discorso: “se io pago le bollette, devi farlo anche tu”.

Per fortuna questi vili trucchetti non stanno funzionando e Lucha sta ricevendo una forte solidarietà non solo dal quartiere, ma da tutta la città e da tutta Italia.

Solo starnuti in faccia a chi cerca di diffondere la più pericolosa delle malattie: la repressione!

Solidarietà alle compagne,

#luchanonsispegne, daje forte luchadoras!

Per info:

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