Nessuna sarà libera finché non lo saremo tuttə

L’otto marzo è una data di lotta femminista e transfemminista, di scesa in piazza, di rivendicazioni. Ogni anno abbiamo scioperato scegliendo di scendere per strada a manifestare la nostra rabbia verso il sistema eterocispatriarcale, capitalista e razzista, puntando il dito contro le violenze strutturali della società in cui viviamo.

L’anno scorso questa data ha però significato anche l’inizio delle restrizioni e della repressione istituzionale come principale, se non unica, risposta alla pandemia che stiamo ancora oggi vivendo. Questo è infatti il secondo otto marzo sotto COVID, e l’anno passato in pandemia se da un lato ha reso ancora più evidenti e marcate le disuguaglianze strutturali alla base della nostra società spingendo ancora più ai margini le soggettività già oppresse, dall’altro ha legittimato un approccio repressivo alle nostre vite mascherandolo dietro la necessità di contenimento nei confronti della pandemia.

La retorica del restate a casa non ha tenuto conto di quanto le mura domestiche non siano un rifugio per molte persone. Non lo sono per le donne che vivono una relazione violenta, costrette negli scorsi mesi a condividere ogni minuto della propria giornata con gli aggressori. Non lo sono per chi non può permettersi un affitto, specialmente nelle grandi città, ed è costrett a vivere con molte altre persone. Non lo sono per le soggettività LGBTQI+ che spesso vivono lo stigma e la violenza omolesbobitransfobica maggiore proprio dentro casa, da parte delle proprie famiglie. Non lo sono per chi una casa non ce l’ha ed è stat completamente abbandonat a sé.

Ovunque, dalle scuole alle strade, è stata criminalizzata la socialità e l’unica vicinanza possibile è stata quella online, mentre il distanziamento sociale è diventato il mantra degli scorsi mesi. Gli unici luoghi che hanno fatto eccezione sono quelli della produzione capitalistica – in cui la salute de’ tant’ lavoratrici e lavoratori è stata posta in secondo piano rispetto al profitto di pochi – e quelli in cui sono rinchiuse tutte le soggettività scomode, che lo stato e i media non hanno alcun interesse a mostrare.

Carceri, CPR, navi quarantena per migranti sono progettate per restare lontane dallo sguardo pubblico, ma a marzo del 2020 le rivolte di detenute e detenuti hanno fatto breccia in questo muro di silenzio rendendo impossibile non vedere le colonne di fumo degli incendi appiccati per protesta.

Con l’inizio delle restrizioni per il contenimento del contagio nelle carceri sono state sospese visite di familiari, avvocat e volontar, corsi e qualsiasi tipo di attività, lasciando che i secondini fossero le uniche persone esterne con il diritto di entrare. Mentre fuori si incentivava l’uso di dispositivi di protezione come mascherine e disinfettanti, dentro niente di tutto questo veniva distribuito, ma anzi si vietava anche l’ora d’aria obbligando le persone a rimanere in spazi chiusi e sovraffollati ventiquattro ore al giorno.

Di fronte alla richiesta di misure alternative al carcere, di indulto e procedure di prevenzione del contagio, lo stato ha risposto con violenza, pestaggi, trasferimenti, provocando almeno 14 morti tra chi protestava.

Nei mesi a seguire le continue proteste e la solidarietà di familiari e complici all’esterno delle mura hanno dato voce a quello che stava succedendo, obbligando l’amministrazione penitenziaria a concedere degli strumenti per rimanere in contatto con il mondo di fuori come le videochiamate. Non ci stancheremo mai di dire che non c’è possibilità di riformare e rendere più umano il carcere, se non scegliendo di chiuderlo definitivamente. Sono di questi giorni le dichiarazioni della guardasigilli Cartabia che rivendica di aver ottenuto una maggiore tranquillità nelle carceri grazie all’incremento delle videochiamate, mentre sappiamo bene che le proteste continuano e che la presunta tranquillità di cui parla è il risultato delle pratiche repressive, dei trasferimenti, delle pesanti denunce che cominciano ad arrivare per chi ha partecipato alle proteste di un anno fa.

Oggi le rivendicazioni si sono ampliate dato l’aumento dei contagi all’interno delle carceri e le nuove problematicità causate dalla pandemia che non hanno fatto altro che rendere ancora più inaccettabile la condizione carceraria.

Di seguito condividiamo alcuni comunicati diffusi da detenu:

http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=98049:roma-disordini-a-rebibbia-indagate-venti-detenute&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1

Resoconto sulle battiture alla sezione femminile del carcere di Trieste – 15 febbraio 2021

Proposta di battitura nazionale dentro le carceri da parte delle detenute per il 1 febbraio

 

Invitiamo tutt agli appuntamenti di oggi Lotto Marzo:

– ore 10.30 flashmod di Non Una di Meno davanti al ministero dell’Economia e Finanze (via Venti Settembre 97);

– ore 11.00 presidio contro la strage di stato davanti il Ministero della Giustizia (via Arenula) in solidarietà con i/le detenut*;

– ore 17 presidio di Non Una di Meno, Roma è zona fucsia! Appuntamento a piazza Esquilino.

 

Affinché quest’otto marzo risuoni un unico grido dalle carceri alle piazze: NESSUNA SARÀ LIBERA FINCHÉ NON LO SAREMO TUTTə

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