Oggi pomeriggio eravamo in piazza SS Apostoli per dire che la legge Zan non ci basta e che non ci rassegneremo mai a considerare il carcere come un’alternativa per sentirci sicur* ed eliminare la violenza che opprime le nostre soggettività!!!
Nessun* sarà liber* finchè non saremo tutt* liber*!
Di seguito testo e audio del nostro intervento:
Se stasera sono qui è perché mi voglio bene.
È perché avete bisogno di noi anche se non lo sapete.
Questa legge non ci basta, come non ci basta nessuna legge; noi lo sappiamo, noi lo viviamo ogni giorno. È la nostra vita.
Per strada siamo noi a proteggerci quando ci aggrediscono, non le guardie né lo stato, e le reti di solidarietà sono la nostra strategia di resistenza. Quando ci riprendiamo gli spazi attraverso i nostri corpi è la polizia a buttarci fuori, a sgomberarci.
Come osate riempirvi la bocca di protezione verso gli stessi corpi che ripudiate? Noi non apparteniamo ad una griglia. Non ci interessa essere rappresentabili o accettabili, né rientrare nella norma o nel decoro.
Questa legge non ci basta perché non vogliamo essere descritte nell’ordinamento patriarcale, non esistiamo solo quando siamo morte, quando siamo massacrate e molestate.
Quando ci rode il culo noi ci abbracciamo strette e così fuori non siamo solo vittime.
Non necessitiamo del paternalismo statale, né di quello di nessuno. Conosciamo bene gli eufemismi che usate quando parlate di noi.
Non vogliamo alleati ma complici.
Che volete fa? Qual è la ratio? Buttare in carcere la gente per sentirvi più sicuri? Per lavarvi le mani di un problema che è insieme strutturale e culturale? Stiamo parlando e adesso ascoltate.
Noi sappiamo che è la cultura patriarcale a perpetuare il sistema eteronormato. Sappiamo che significa non essere ascoltati. Sappiamo che significa quando parlate di noi come spunte da aggiungere alla lista delle modernità, come passi avanti verso una retorica inclusiva, mentre siamo in realtà escluse da ogni vostro ridicolo tavolo.
La violenza a cui si riferisce questa legge nasce in famiglia e cresce a scuola, in che modo il carcere sarebbe una soluzione a tutto ciò? Pensiamo che la fine dell’omolesbotransintersexbifobia e del razzismo siano possibili attraverso comunità forti e autorganizzate, la presa di responsabilità collettiva, dalla famiglia alla scuola al parco giochi, crescere bambinu liber* da stereotipi e dalle oppressioni materiali e culturali è molto più efficace che punirli da grandi perchè interpretano quello che hanno imparato.
Questa legge non ci basta perché il carcere è figlio dello stesso sistema che combattiamo. Non è inasprendo le pene che la violenza su di noi sparirà. Non rivendichiamo la penitenza dello stato in quanto strumento intriso di una retorica rieducativa. Il carcere genera violenza. Di carcere si muore.
Diceva A. Davis: “questa è la funzione ideologica della prigione: ci libera dalla responsabilità di farci carico dei problemi per cui le persone vengono incarcerate. Nasconde i problemi della società prodotti dalla povertà, dal razzismo, dalla violenza di genere, dallo sfruttamento.”
Da mesi negli Stati Uniti le comunità lesbiche trans gay non binary intersex e queer, insieme a tutto il movimento Black Lives Matter stanno lottando non solo per la fine degli abusi di polizia ma in modo ancora più radicale per il definanziamento delle forze di polizia, la fine della detenzione di massa e in generale per la fine del sistema carcerario, strutturalmente classista, razzista e sessista. Dalle carceri americane arrivano notizie delle lotte delle donne nere cis e trans, così come anche in Italia durante la quarantena il coraggio delle persone detenute ha evidenziato la contraddizione che è l’esistenza stessa del carcere.
La violenza personale che subiamo perché siamo soggettività non normali non può finire senza il superamento delle violenze sistemiche.
I fasci, i preti, la chiesa y el estado opresor ci fanno cagare. così come il carcere li vogliamo in macerie.
Abbiamo una soluzione:
l’autodifesa si fa così:
lo aspetti sotto casa e poi lo lasci lì!!!