Il Pinkwashing non cancella l’oppressione
Solidarietà a chi lotta in Palestina
Le bombe democratiche d’Israele hanno ripreso a piovere sulle teste della popolazione palestinese di Gaza, insieme a droni, attacchi via mare, ed a una crescente pressione dell’esercito sionista sui confini.
Contemporaneamente in Cisgiordania i gruppi di coloni armati e le forze militari d’occupazione mettono a segno spedizioni punitive, arresti, sevizie, omicidi ai danni della popolazione palestinese incrementando l’espansione coloniale, saccheggiando terre e distruggendo case.
Intanto nelle città, nei villaggi e nei campi profughi palestinesi continua e cresce la resistenza contro l’occupazione militare e l’espansione coloniale iniziata 66 anni fa.
Tutto questo avviene nella totale disinformazione, quando non addirittura silenzio complice, e manipolazione degli avvenimenti da parte dei mezzi d’informazione mainstream.
La massiccia propaganda israeliana tira fuori le sue armi affinate fino a spingersi all’utilizzo del pinkwashing per rafforzare l’islamofobia, tentando d’identificare come nemica della democrazia occidentale l’intera popolazione civile palestinese.
Retoriche che ritroviamo in tutte le guerre umanitarie post 11 settembre.
La vile strategia sionista arriva fino a strumentalizzare l’uccisione del giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir (sequestrato, seviziato e arso vivo da un gruppo di coloni), ipotizzando l’omosessualità del ragazzo e accusando gli stessi familiari di aver commesso un delitto d’onore, nel tentativo di attribuire la brutalità di questa esecuzione alla cultura palestinese, dipingendola come incarnazione della barbarie contrapposta alla civiltà e al progressismo dello Stato sionista. Civiltà e progressismo applicati però solo al popolo israeliano, dai quali sono esclusi i non ebrei e gli strati più poveri e marginalizzati della società.
Questo tipo di operazione è uno degli esempi di Pinkwashing: strategia di propaganda portata avanti dallo stato israeliano al fine di occultare la violazione dei diritti civili e i massacri contro la popolazione palestinese, attraverso la costruzione artificiosa di un immaginario positivo di Israele come moderna, democratica, progressista, caratterizzata dall’apertura e tolleranza nei confronti dei gay. Un immaginario, una ‘copertura rosa’ che cerca di far dimenticare che lo stato di israele da 66 anni occupa e colonizza le terre palestinesi concretizzando il suo progetto di pulizia etnica.
Venerdì 11 luglio saremo a largo Ricci dalle ore 18 (incrocio via Cavour – via dei Fori Imperiali) insieme ai gruppi solidali con la resistenza in Palestina, perché riconosciamo nell’oppressione perpetrata da Israele, con la complicità dell’industria bellica e della politica di potere italiana ed europea, l’oppressione che vogliamo spazzare via dalle nostre vite, dalle nostre relazioni, dalle nostre strade.
Come donne, femministe, frocie non accettiamo alcuna strumentalizzazione sui nostri corpi, desideri e rivendicazioni di autodeterminazione e siamo al fianco di chi in Palestina lotta per liberarsi dalla sopraffazione.
Rifiutiamo l’Apartheid
Boicottiamo Israele