Riceviamo e pubblichiamo il racconto diretto di una compagna occupante in via delle Acacie 56, riguardo lo sgombero avvenuto la scorsa settimana e la durissima operazione repressiva nella quale sono coinvolte persone impegnate nella lotta per la casa.
Ognuna di noi, a modo proprio, si è sentita coinvolta da ciò che stava accadendo alle persone che occupavano gli stabili.
Sin dalle prime ore del mattino ci siamo ritrovate in tante a portare la nostra solidarietà, cercado di essere d’aiuto in un momento così difficile, per poi spostarci davanti la questura di Roma fino al rilascio di tutte e tutti coloro trattenute/i dalla polizia.
Vi lasciamo al racconto e ci vediamo il 29 marzo alle ore 10,30 nella giornata di solidarietà in via delle Acacie 56.
chi lotta non è sol@.
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Sono le 6.50, squilla il cellulare, la prima volta quasi non lo sento.
Risquilla una seconda volta, rispondo un pò preoccupata. Una voce amica mi dice che la Digos è nell’occupazione e ed è entrata in una decina di appartamenti per perquisirli. In pochi minuti decido di vestirmi, mando 2 o 3 messaggi a persone di cui mi fido, gli spiego la situazione.
Prendo coraggio ed esco dalla camera.
Capisco che non mi perquisiranno. Strano. Comunque non mi sento tranquilla.
La Digos, la polizia politica, non ha la divisa. Gira per i piani dell’occupazione sorridendo e facendo battute sul fatto che non ci sono gli ascensori. (Che non fa ridere) Continuano le perquisizioni, addirittura 7 agenti per casa o camera dipende da come la si intende. Dopo 2 ore e mezza circa, le perquisizioni sono finite. Si saprà più tardi che sono 41 le abitazioni perquisite.
Arriva la notizia che stanno sgomberando un’altra occupazione, la ex scuola Hertz ad Anagnina, e che anche all’Angelo Mai Altrove Occupato sono arrivati i blindati e vogliono sequestrare i locali. A via delle Acacie, dove siamo noi, nel quartiere di Centocelle di Roma, i blindati di polizia e carabinieri bloccano la strada.
Scendono uomini robocop con gli scudi e salgono sui piani (6) con gli anfibi pesanti, i caschi in testa e le armi. Non sanno bene cosa devono fare, aspettano gli ordini dei superiori per questo non rispondono alle domande che la gente spaventata, uscita dalle case, gli porge. Non lo sanno, eseguono degli ordini. Li guardo e mi prendo il mio tempo per fare le valige: siamo in pieno sgombero.
Io ho poche cose, metto tutto dentro delle borse. Sono fortunata a non avere tutto con me, c’è chi invece in quelle camere ha la sua vita, i suoi libri , gli indumenti, le stoviglie, i giochi dei bambini etc… La gente ha paura. Non sa cosa succederà ne dove andrà a finire. Molte persone non hanno le famiglie qui, sono quelli che non hanno i soldi, che hanno faticato ad avere i documenti, e lottato per avere una casa che oggi sembra non essere più loro. Io invece ho tante famiglie e amiche che mi accoglierebbero con amore e solidarietà, con voglia di condividere questo disagio indotto che è l’abitare.
Esco dal cancello dopo aver parlato con un pò di persone lungo la discesa di 6 piani. Bisogna rimanere uniti, basta uno sguardo per capirci. “Se colpiscono una colpiscono tutte”. Esco dalla palazzina, ho tre borse al collo e uno zaino. C’è tanta gente fuori a portare solidarietà, tante anche le guardie in borghese che non li fanno entrare: io li riconosco sono sempre gli stessi poi comunque anche se a volte cambiano li si riconosce facile. Vedo facce di fratelli e sorelle che mi abbracciano, prendono le mie cose e le mettono al sicuro. Mi sento anche io al sicuro e anche un po’ privilegiata, lo sono da bianca e italiana. Ho pure meno responsabilitá di chi ha figli e deve pensare anche a loro. I bambini comunque se la cavano super bene, sono pronti e rimangono gioiosi, alcuni vanno a scuola. Meglio così. Ma un bambino soffre più degli altri, grida da stamattina, durante la sera verrà trasportato all’ospedale Bambin Gesù in ambulanza.
Nelle occupazioni abitative ci abita chi ha bisogno. Ci sono bambini, ma anche persone anziane e malate e nessuno ha pensato che durante una giornata fuori casa al freddo potessero aver bisogno di cure, non hanno pensato allo shock o stress nel momento dello sgombero. É un operazione militare quella che abbiamo subito: questo è uno sgombero, solo questo. Intanto si capiscono i motivi delle perquisizioni. Sono accuse pensanti ai danni di militanti che da anni lottano per la casa e una vita degna per loro e per le altre persone.
Accuse pesanti e l’apertura di un indagine da parte della magistratura. Alcune delle persone indagate vengono portate in questura. Sono persone che conosco bene, di cui mi fido: so che sono innocenti oppure colpevoli di fare giustizia sociale e dal basso, so che stanno soffrendo e so che l’attacco è tutto politico. Decido insieme ad altre di non lasciarle sole e dopo un momento di smarrimento mi dirigo a Via Genova sotto la Questura di Roma.
Alla repressione non ci si abitua. Ti senti addosso qualcosa che ti vuole svilire, annientare : ad un tratto senti che non ce la farai, che questa lotta è troppo impari. In quel momento si accende la rabbia e la consapevolezza che la lotta è dura e può avere battute di arresto. Mi fermo un attimo, cerco la lucidità. Chiamo le mie sorelle. Affronteremo insieme questa faccenda, ognuna con le proprie capacità ma unite, dove l’unione non è uno slogan ma la capacità di fiancheggiarsi, di proteggersi e di non farsi infilzare dal potere.
Una nostra compagna è trattenuta lì e noi aspetteremo che venga rilasciata. Una volante di guardie ci piantona, un pò rosicano perchè in fondo noi ci divertiamo nelle lunghe 10 ore sotto la questura. Produciamo più o meno una decina di cori, tra cui uno sul karaoke come minaccia per i questurini. Scriviamo alle nostre compagne e le aggiorniamo, interroghiamo i vigili del fuoco, che sono proprio li davanti la questura, sul perchè sono parte attiva negli sgomberi. Questi alla fine ci porteranno dei caffè ma non cederanno sulle coperte termiche. Fa freddo e noi abbiamo solo le felpe. Stiamo rimanendo solo noi, per questo decidiamo di farlo presente a più riprese alle guardie davanti al portone che intanto avranno fatto almeno due o tre cambi. Tocca solo resistere.
Finalmente esce la nostra sorella, stanca e affamata, lei ha sempre fame ma è così nervosa che non si mangia neanche la pizzetta che le avevamo comprato e che ormai è fredda. Salgo in macchina, torniamo all’occupazione, è notte e alcune persone mangiano cibo che arriva da altre parti. Passano amiche e amici di zona, compagni e compagne.
Alcuni occupanti sono su materassi e coperte a terra sul marciapiede di via delle Acacie. Le persone sono rimaste li, senza disperdersi chissà dove: rivogliono la loro casa. Tra questa gente la povertà è diventata lotta: le case sono state occupate e poi trasformate e migliorate in un progetto virtuoso che si chiama autocostruzione. Durante la notte il Comune di Roma decide di dissequestrare temporaneamente gli immobili abitativi, o meglio decide di far rientrare le persone a cui aveva tolto un tetto.
Si rientra con la gioia e la fatica di una lotta che continua ogni giorno. Perchè, come mi dice chi mi è vicina, la lotta sulle nostre vite e sulla libertà non ha orario. Non è un turno di guardia, non ci pagano per questo. Non potrebbero, la dignitá non ha un prezzo.
I nostri corpi fanno calore, e chi li tocca si brucia.